Marino Massarotti - 2007
Possedere una realtà immateriale e dipingere il silenzio in un dialogo personale con le cose.
Questi sembrano essere i binari entro cui si sviluppa la ricerca pittorica di questo artista, che rifuggendo dagli stereotipi comuni ci prospetta una materia difficile, ambiziosa e per questo tanto più accattivante.
La sua è infatti una pittura della ragione che nasce dalla esigenza di stendere sulla tela un equilibrio ideale e una rappresentazione ordinata dello spazio. Questa operazione è condotta con modalità non certo convenzionali (ma cos'è convenzionale nella pittura?) e qualche volta ardite negli accostamenti cromatici scelti in una tavolozza cupa e monocroma (pessimista?) nella quale tuttavia emergono a tratti lampi di un candore abbagliante a delimitare i contorni degli oggetti e a cristallizzarne le forme.
La costruzione degli oggetti è dunque quasi sempre geometrica ed è espressione di un universo interiore dove l’ordine delle cose è stabile e finito pur nel suo incessante divenire. Io non so se Pilef stabilisca i rapporti che corrono nei suoi quadri con un’azione inconscia o con misurazioni reali, resta il fatto che le sue opere ricordano molto da vicino quelle architetture ideali che da secoli l’uomo ha codificato nella matematica misteriosa del “numero aureo” di vitruviana memoria.
La pittura di Pilef non è certo quella destinata a creare una “impressione” e né tantomeno a suscitare motivazioni di ordine critico e sociale: l’uomo è inesorabilmente assente e così tutte le cose animate. Il pittore costruisce un “nulla” nel quale solo lui è inaspettato protagonista.
Ma l’osservatore non è lasciato in disparte, perché egli si sente attratto, a mio giudizio, in un labirinto virtuale dal quale l’occhio esce a fatica e la mente ne è attirata come in un gioco caleidoscopico. Definire la pittura di Pilef non è facile perché la materia è scarna, glabra, essenziale di cose minute forse vissute o solo sognate. Se dovessimo fare rientrare in qualche classificazione (cosa del resto molto soggettiva e forse inutile in pittura!) la riterrei oscillante tra un cosiddetto “minimalismo” (geometria con espressione metafisica) e “razionalismo”, cioè la tendenza a usare la geometria come metodo razionale di costruzione dell’immagine. I quadri di Pilef, pur di dimensioni ridotte, riempiono lo spazio espositivo di una presenza fredda ma tuttavia vitale che risulta a volte francamente astratta, anche se ogni tanto il pittore sembra volerci ricondurre alla realtà figurativa con barlumi di oggetti riconoscibili (un bicchiere, una bottiglia) non scelti come tali ma per le loro proprietà geometrico-spaziali. Queste presenze rendono tuttavia ancora più straniante il contesto generale del dipinto.
Un cammino quello di Pilef molto difficile dunque, che rifugge da ogni stereotipo e ogni banalità: attendiamo di vedere a quali traguardi saprà condurlo, alla ricerca di quell’”essenziale” che è poi l’intima natura della realtà.
ticaerazionale del "minimo comune multiplo". Gli elementi geometrici semplici, nell'opera